
Il valore culturale della moda di Marco Rambaldi Il fondatore dell'omonimo brand ha raccontato ad nss G-Club l'ispirazione e i valori dietro le sue collezioni
Una dedica d'amore alle donne, sulla base di unità e sorellanza: è questo il manifesto dell'ultima collezione SS21 di Marco Rambaldi, che pone le sue fondamenta sui concetti di libertà, di solidarietà e di amore.
In un periodo così complicato, e nel panorama della moda italiana, dominato dai grandi nomi e della maison storiche, per emergere ci vuole molto più che una bella collezione o dei capi ben realizzati, e Marco Rambaldi, designer e fondatore dell'omonimo brand, lo sa bene. Per fare breccia nel cuore del pubblico ci vuole autenticità e bisogna esprimere valori e significati attraverso la moda. Il valore culturale della moda è un bene prezioso. Con la collezione SS21 Rambaldi tesse un'ode alla figura di Fernanda Pivano, scrittrice e giornalista italiana, ispirandosi al personaggio e alle grafiche psichedeliche delle sue riviste.
Una delle donne più rivoluzionarie e avanguardiste di sempre, una profonda femminista, un'intellettuale ed il simbolo assoluto di libertà e cultura.
Per approfondire queste tante sfaccettature del brand e del suo fondatore, nss G-Club ha parlato direttamente con Marco Rambaldi per scoprire l'ispirazione, i valori e i progetti futuri con il suo brand.
1. Ciao Marco, raccontaci un po’ di te. Qual è il tuo background e quando hai iniziato ad avvicinarti alla moda? Come è nato poi il tuo brand?
Vengo dalla provincia di Bologna, città che mi ha influenzato da infiniti punti di vista. Ho iniziato ad avvicinarmi alla moda quando ero adolescente, in quella fase in cui non sai ancora realmente chi sei o chi vuoi essere: un giorno ti sentivi punk, quello dopo fighetto. Da lì ho iniziato a sperimentare con i look, con i vestiti, osservando quello che mi circondava. Alle superiori ho fatto grafica pubblicitaria, poi un anno di design del prodotto prima di accorgermi del fatto che la mia strada fosse la progettazione di moda. Così mi sono trasferito a Venezia per frequentare la triennale di design della moda allo IUAV, dove ho conosciuto Giulia Geromel, la mia collaboratrice, con cui mi sono ritrovato dopo molti anni.
Mentre stavo scrivendo la tesi di laurea mia mamma mi fece leggere un articolo che parlava di Next Generation, un bando per creare una capsule e sfilare a Milano con il supporto di Camera della Moda: partecipai e lo vinsi. Poi grazie a Sara Maino (che mi ha sempre supportato) feci una seconda capsule che presentai ad AltaRoma.
Dopodiché decisi di congelare il mio brand per lavorare a Milano come designer all’interno dell’ufficio stile donna di un brand importante, per conoscere meglio il sistema e la professione che stavo intraprendendo. Finita questa esperienza, grazie al supporto di Leila Palermo e Andrea Batilla (e ovviamente a quello della mia famiglia) ho iniziato con il brand Marco Rambaldi che è effettivamente nato nel 2017, per un’esigenza, una grande voglia di comunicare qualcosa e di dimostrare di potercela fare se realmente si crede in ciò che si fa. Oggi lavorano con me Giulia Geromel e Filippo Giuliani.
2. Nelle collezioni così come nella comunicazione sono importanti i concetti di inclusione e libertà. Quali sono gli elementi o i personaggi che influenzano maggiormente le collezioni?
Fin dall’inizio l’inclusione e la libertà sono state colonne portanti del nostro lavoro. C’è sempre un richiamo al passato e al femminismo degli anni ‘70, i diritti, le rivoluzioni, le battaglie, e il motivo è che quegli anni sono stati il vero e proprio inizio della liberazione della donna per come la conosciamo ora.
Poi sono entrato in contatto con figure come Valèrie Taccarelli ed Eva Robin’s con le quali abbiamo realizzato progetti: mi hanno illuminato sulle loro origini e sul loro passato, diventando l'emblema di tutte quelle figure e personalità che ci hanno permesso di crescere in una società più elastica. Hanno lottato e si sono battute per darci un futuro migliore e libero, seguendo il retaggio di Sylvia Rivera e i moti di Stonewall in America.
3. La tua sfilata SS21 è stata una delle poche “fisiche” dell’ultima Fashion Week, a Milano. La scelta della location e del casting ha un significato particolare?
È stata una scelta molto spontanea, era dal primo lockdown che portavo avanti questa ricerca, ancora non sapendo se ci sarebbe stata la possibilità di sfilare a settembre.
Ci interessavano persone che avessero una storia da raccontare. Era importante per me che non ci fosse nulla di forzato, anche la scelta dei look è stata studiata appositamente su ogni persona.
Volevamo un casting inclusivo e che rispecchiasse quello che siamo. Da qui, anche la scelta di sfilare in strada, nel cuore di Porta Venezia, in via Lecco a Milano. Un quartiere multietnico, multiculturale, LGBTQI+.
Il nostro brand trova il suo nucleo nei temi del femminismo e della lotta alle discriminazioni, di ogni genere. Non respingere ma includere e sostenere, questo è ciò in cui crediamo.