
C'è un limite al nude look? I recenti look di Bianca Censori e Julia Fox hanno spinto oltre il concetto di nude look e naked dress
Esiste ancora qualcosa che non si dovrebbe indossare in pubblico? C’è un limite alla percentuale di pelle nuda che si può esibire? Chi ha il diritto di dire cosa sia o non sia indecente in termini di abbigliamento? Quando impareremo ad andare oltre convezioni, bigottismo e puritanesimo? Il vestito veicola ancora un messaggio che racconta di noi, della società in cui viviamo e di chi vorremmo essere o rappresenta solo un elemento per aderire all’ennesimo core? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che affollano la mente di molti davanti all’affermarsi del nude look. Se le passerelle, da Nensi Dojaka fino a Miu Miu con i suoi no pants, lo propongono sempre più spesso, le celebrità lo adorano e si sfidano a colpi di outfit sempre più estremi, scatenando la conversazione su se esista o dovrebbe esistere un confine da non superare, specialmente quando quel tipo di abbigliamento continua anche oltre il red carpet, sulle strade delle nostre città.
Il nude look nella storia recente
Il nude dress non è mai stato più popolare che in questo momento. Le ultime a aderire al trend sono stare Doja Cat, Julia Fox e Bianca Censori. Headliner del Victoria's Secret World Tour, Doja con un abito sottoveste da cui si intravedevano il corpo nudo, i tatuaggi e un minuscolo perizoma, piuttosto casto rispetto ad altri outfit visti negli ultimi mesi, ma, a detta dell’artista altrettanto scomodo. In una serie di storie Instagram in seguito cancellate, si è lamentata della costruzione dell’abito e dell’underwear: "È pazzesco quando indossi un vestito e tutta la tua vagina è fuori tutta la notte e le spalline del vestito ti tirano le tette fino alle ginocchia e tutto ciò che hai chiesto era un vestito sottoveste". La scomodità non è un requisito che sembra importante per Julia Fox, al meno osservando i tanti look bizzarri che l’hanno resa famosa. Julia Fox ha dato il via alla NYFW 2023 con set decisamente minimal, composto da un minuscolo reggiseno con copri capezzoli e un perizoma più simili a dei gioielli che a un bikini, a cui ha aggiunto un lungo trench in pelle. Se in molti avevano storto il naso quando qualche estate era andata a fare spesa in mutande e reggiseno in denim, stavolta c’è chi si chiede cosa indosserà o, meglio, non indosserà la prossima per attirare l’attenzione. Le critiche più aspre sono state, però, riservate a Bianca Censori. La nuova moglie di Kanye West sta trascorrendo parte delle vacanze in Italia, occupando social e magazine grazie a suoi look fatti di abiti inesistenti, collant e leggings color carne, top succinti indossati rigorosamente bra free, capezzoli ben visibili sotto gli aderentissimi body in lycra. Gusto personale a parte, molti hanno puntato il dito verso la donna eleggendola nemica numero uno della pubblica decenza. Il Daily Mail si è spinto oltre fino ad invocare l’arresto o almeno una multa per l’oltraggio dei suoi outfit, gridando allo scandalo. Ma è davvero il caso di farlo? Viviamo in una società fortemente patriarcale, dove il corpo delle donne è indissolubilmente legato a un’immagine sessualizzante e mercificata, votata a soddisfare il male gaze. Forse è arrivato il momento di cambiare punto di vista, ampliando in nostri confini riguardo a buon gusto, pudore e scandalo. Magari reagire con un pizzico di ironia invece che con i forconi da puritani in mano può essere un modo di aiutare la società ad interiorizzare una visione personale, libera e diversificata del corpo femminile. Attualmente, i corpi femminili sono, ancora una volta, al centro di un campo di battaglia politica e anche un nude look può essere un modo di riappropriarsi del diritto di scegliere per se stessi, diventando un simbolo di empowerment. Quindi, forse, a costo di sembrare retorici, piuttosto che scandalizzarci per Bianca Censori con i capezzoli in vista, dovremmo farlo per chi nega il diritto all’aborto e per chi si ostina a incolpare la vittima di uno stupro per cosa indossa. E un abito trasparente percepito come disturbante potrebbe trasformarsi nello strumento per una riflessione, perfino per un cambiamento verso libertà espressiva e di scelta, anticonformismo e inclusività.