
Ruth Handler e il mito di Barbie Buon compleanno alla bambola nata per insegnare alla bambine a essere “qualsiasi cosa volessero”
Tutti ne abbiamo avuta almeno una. Abbiamo trascorso i pomeriggi a cambiarle gli abiti, a fingere che fosse una principessa o una spia segreta, le abbiamo pettinato i lunghi capelli, disegnato i tatuaggi con una penna bic o, presi da un raptus infantile le abbiamo decapito la testa. Lei, imperterrita anche davanti al più monello dei ragazzini, è sopravvissuta. Ora che compie 64 anni, Barbie, nata a fine anni ’50 dalla mente di Ruth Handler come simbolo di rivendicazione dell'empowerment femminile, dopo aver messo piede sulla Luna e fatto centinaia di altre carriere, tra momenti di grade successo e aspre critiche, è diventata una social influencer pronta a ricordare alle ragazze che possono diventare tutto ciò che vogliono. Oggi, come allora. Mentre aspettiamo di vederla conquistare anche il mondo del cinema con il film live action in lavorazione in cui verrà interpretata da Margot Robbie, la celebriamo ripercorrendo la sua storia.
E Ruth Handler creò Barbie
Nata con lo scopo di “mostrare alle bambine che sarebbero potute diventare chiunque desiderassero”, pensata come un oggetto su cui proiettare le loro stesse future e arrivata, con un piglio rivoluzionario, per spiegare che essere una donna adulta non significa solo fare la madre, Barbie comincia presto a lavorare. Dalla carriera iniziale di modella passa a quella di insegnante, infermiera, ballerina, assistente di volo. Nel 1965 passa le serate a fare pigiama party con le amiche nel suo impeccabile Slumber Party set che al suo interno contiene anche una bilancia con il valore fisso a 50 kg e un piccolo libricino di consigli “don’t eat” su come perdere peso (il gadget più controverso e criticato di sempre).
Barbie sulla luna
Un passo falso rimediato lo stesso anno quando, mentre gli Stati Uniti e la Russia erano in piena corsa per la conquista dello spazio, Barbie fa il suo ufficiale debutto sulla luna, anticipando Neil Armstrong e la storia. Arrivano i difficili seventies e come l’economia, anche Barbie affronta la sua prima crisi, superata abbassando i costi e adottando strategie di fidelizzazione usufruendo di espedienti come i club o la posta personalizzata. Superato il periodo della contestazione giovanile e le critiche delle femministe che vedono in lei il prototipo della donna oggetto, la creatura di Ruth Handler è pronta ad affrontare disco-music, aerobica, alternando le professioni di chirurgo, rock star, manager in tailleur con le spalle imbottite, perfetta promotrice della democrazia fra i sessi nel mondo del lavoro. Indipendente ed eclettica, nel 1989 diventa ambasciatrice dell'UNICEF, nel ’92 debutta nel mondo del rap e, contemporaneamente, si candita come presidente degli Stati Uniti, prima di dedicarsi allo sport diventando giocatrice della Major League di Baseball.
Le polemiche
Nei suoi sessant’anni di vita Barbie ha collezionato centinaia di professioni, ma anche qualche lifting: lo sguardo da obliquo è passato a frontale, il seno si è ridotto, il busto si è sollevato leggermente. Nel 1992 ha iniziato a parlare, pronunciando l’infausta frase “la matematica è difficile” e scatenando le ire di molte donne. Senza marito o figli, come sottolinea Lenore Wright, docente di filosofia della Baylor University:
"Il portfolio di Barbie riflette il suo successo finanziario, l'indipendenza e la ricchezza materiale: una casa dei sogni, una cabriolet, una piscina, un camper, una Jacuzzi, un guardaroba couture, un cavallo, un cane e così via”.
Migliaia sono infatti le proprietà, gli abiti e gli accessori accumulati dalla ragazza di plastica nella sua vita.
Da giocattolo ad icona controversa
Amica fedele di ogni bambina, la ragazza di vinile è diventata presto una vera e propria icona, eletta tale dal re della pop art Andy Warhol in Portrait of Billy Boy as Barbie, o molto più recentemente da Vogue Italia che le ha dedicato un famoso servizio fotografo di Giampaolo Sgura, ma anche dai tanti stilisti, da Karl Lagerfeld a Giorgio Armani, che hanno fatto a gara per vestirla disegnando collezioni a lei ispirate (Moschino SS15). Per le celebrities avere la propria versione Barbie (Twiggy è stata la prima nel 1967 e Gigi Hadid una delle ultime) era ed è ancora un traguardo, sintomo di una popolarità raggiunta e consolidata come confermano Beyoncè e Kylie Jenner che negli ultimi Halloween hanno scelto di trasformarsi nella bambola più nota della Mattel.
Le ombre del successo
Il successo del giocattolo inventato da Ruth Handler è stellare, ma certo non privo di ombre. Con il tempo e nonostante le radici legate all'empowerment femminile, il termine Barbie è diventato sinonimo dell’immagine stereotipica, probabilmente veicolata dal celebre modello Barbie Malibu del 1971, della bionda californiana frivola, svampita e vestita rosa. La stessa raccontata nella hit anni ’90 degli Aqua Barbie Girl.
La critica più frequente mossa contro la bambola è di promuovere un livello di perfezione e magrezza irraggiungibile e anatomicamente poco realistica, rea di alimentare un senso di frustrazione e, nei casi peggiori, un complesso di inferiorità nelle bambine. Nel 1995 l’International Journal of Eating Disorders ha calcolato che nel mondo reale Barbie sarebbe una persona alta 1 metro e 75 con 99 cm di seno, 53 di giro vita e 83 di fianchi. Altri studi sostengono che sarebbe troppo magra per avere un regolare ciclo mestruale e che le sue gambe, più lunghe del 50% rispetto alle braccia, ne impedirebbero la normale deambulazione costringendola quasi a gattonare.
La diversità di Barbie
Sempre nei nineties, Erica Rand, autrice del saggio Barbie’s Queer Accessories, ha puntato il dito contro la Mattel per non aver proposto modelli che rappresentino la diversità etnica delle donne del mondo. Liquidando i tentativi fatti fino ad allora con queste parole:
“cambiare semplicemente il colore della pelle della Barbie bianca senza cambiarne il corpo e i connotati equivale a dire che la ‘vera’ Barbie è quella bianca”.
Arrivata al nuovo millennio l’azienda statunitense ha provato a porre rimedio a queste sue mancanze con il Project Dawn e la linea Fashionistas. La prima Barbie è stata proposta in sette tonalità di pelle, 24 pettinature diverse, 22 tipologie di colore degli occhi; mentre la seconda ha introdotto tre nuove silhouette: curvy, alta e petite. Sempre più body positive ed inclusiva, la Mattel ha da poco aggiunto alle tante Barbie anche alcune affette da disabilità. Per offrire alle bambine modelli di riferimento positivi, la bambola ha preso le sembianze di alcune inspiring women come la pittrice Frida Kahlo, la modella plus-size Ashley Graham, la ballerina Misty Copeland, la modella britannica Adwoa Aboah, la scienziata della NASA Eleni Antoniadou, la regista Ava DuVernay o la giocatrice di calcio della Juventus Sara Gama.
Barbie influencer
Alla soglia dei sessant’anni Barbie ha dovuto fare i conti con il mondo digitale, imparando il linguaggio dei social media e sgomitando tra fashion blogger ed influencer per reclamare il suo status di icona mondiale. La bambola creata da Ruth Handler come atto rivoluzionario, unica adulta in mondo fatto di neonati, ha capito presto che per continuare a mantenere il successo bisogna adattarsi, rimanendo al passo coi tempi. E così ha fatto. Ha imparato a farsi i selfie ed a sfruttare passione per la moda e senso dello stile, raccontando cosa succede nella sua vita agli oltre 2 milioni di follower del suo account Instagram ufficiale @BarbieStyle. L’ennesimo esempio di come Barbie sia una self-made woman (seppur di plastica) in grado di superare qualsiasi sfida.